lunedì 12 dicembre 2011

Futuro un cazzo






le foto sono di Salvatore Torregrossa


"Buon Natale un Cazzo" non si può dire. E nemmeno scrivere: non è educato, non è carino, è offensivo. L'avevano scritto su un cartello i lavoratori della Elco in sit-in qualche giorno fa in piazza Università, per far conoscere ai catanesi la loro situazione allucinante: oltre 180 dipendenti "sospesi" per la chiusura improvvisa dei negozi decisa da padroni senza scrupoli, ma non formalmente licenziati, sicché non possono nemmeno andare a trovare un altro lavoro.
Gliel'hanno fatto togliere quel cartello: non sta bene. Non è educato incazzarsi se da luglio non vedi un centesimo perché da un giorno all'altro il padrone ti ha gettato sulla strada; non è educato rivendicare il proprio diritto al lavoro; non è educato fare notare che per i lavoratori della Elco non ci sarà nessuna festa, nessun regalo di natale per i loro figli, nessun panettone.
Uno di loro al sit-in è arrivato in ritardo: doveva correre in banca per cercare di evitare che gli pignorassero la casa. Un altro è ancora capace di ironizzare, pensando di darsi fuoco, ma con la benzina verde per non inquinare. Un altro ancora fa notare l'assurdità di non poter bloccare il mutuo della casa perché ufficialmente non c'è stato alcun licenziamento o dell'angoscia che ti prende quando squilla il telefono e pensi che sia il padrone di casa che rivendica l'affitto. Parlano di dignità, che non la vogliono perdere: hanno portato delle catene con le quali incatenarsi simbolicamente ma precisano che non hanno alcuna intenzione di diventare dei "casi umani", che i loro debiti li onoreranno e non smetteranno di dare battaglia per i loro diritti.
Ce n'è uno che è diventato suo malgrado un leader, è lui quello che spiega ai giornalisti come stanno le cose: si piazza davanti alle telecamere, comincia a illustrare gli aspetti tecnici della vicenda, usa termini giuridici, adotta un tono pacato, ma a un certo punto ti accorgi che si sdoppia, è come se il suo cervello andasse da un'altra parte..."Scusi, ma non ce la faccio", dice al giornalista, e se ne va lasciandolo con il microfono in mano.
Spiegherà poi che non ne poteva più di dire le cose con fair play, di indorare una pillola amarissima, di tacere sui dubbi di illegalità di questa brutta storia, di essere educato...
Già, che gli racconti a tuo figlio che ti chiede cosa gli regalerai per natale? Come glielo spieghi che se continua così non si potrà nemmeno comprare da mangiare? Come glielo fai capire che un padrone ottocentesco non ha avuto alcun riguardo e nessuno scrupolo mentre calpestava i loro diritti?
E che gli dici a tuo figlio già nato o che sta per nascere "e se è una femmina si chiamerà Futura"? Come glielo dici che soldi per andare a scuola non ce n'è e perciò non c'è futuro? Futuro un cazzo! Questo è più "educato"?
articolo scritto da Patrizia Maltese http://patriziamaltese.blogspot.com/

Lavoratori Elco: diritti a rate e zitti tutti

Braccati. Come se fosse colpa loro. Il rischio di perdere la casa perché non riesci più a pagare il mutuo, le banche che ti telefonano per rientrare dalla scopertura e non vogliono sentire ragioni, le bollette da pagare, l'azienda telefonica che ti sospende il servizio. Ne ho visto qualcuno evitare di rispondere al telefono nel timore che fosse il padrone di casa che rivendicava il pagamento dell'affitto o il macellaio che voleva saldato il conto. Cornuti e mazziati: così va il mondo nella repubblica fondata sui licenziamenti.
I quasi duecento lavoratori della Elco sono soltanto gli ultimi, in questa Sicilia dove la disoccupazione ha raggiunto livelli insostenibili ed è funzionale a mantenere i cittadini in uno stato di sudditanza, ad essersi ritrovati - all'improvviso, l'estate scorsa - senza lavoro perché il padrone ha deciso di chiudere. Come altre migliaia di lavoratori che negli anni, a Catania e in Sicilia, dalla Cesame alla Fiat, da un giorno all'altro hanno visto andare in fumo il loro futuro e quelli dei loro figli. Ma con una particolarità in più: l'indifferenza e l'abbandono. Sembra che di loro non si accorga nessuno: non i cittadini, indolenti e indifferenti, che notano il negozio chiuso soltanto quando ci vanno per comprare qualcosa; non le istituzioni che in altre situazioni - non foss'altro che per campagna elettorale - hanno finto di interessarsi a lavoratori di aziende in crisi; non i sindacati (e fa male sentirselo raccontare e doverlo riferire) perché, qualunque sia la sigla alla quale sono iscritti, questi lavoratori si sentono abbandonati a se stessi; non la stampa locale perché la raccolta pubblicitaria evidentemente è più importante della vita delle persone; non alcuni avvocati, troppi se anche fosse stato uno solo, eccessivamente e in maniera sospetta sveltissimi ad abbandonare l'incarico un giorno dopo averlo assunto.
Un paio di giorni fa, davanti ai giudici della sezione fallimentare del Tribunale di Catania, si è svolta l'udienza per il concordato preventivo: è la conseguenza della richiesta di liquidazione avanzata dall'azienda, "un passo prima del fallimento", spiega l'avvocato Elisa Di Mattea, che assiste senza esitazioni sei dei lavoratori buttati sulla strada dalla famiglia Ferlito, proprietaria della Elco. In pratica, in questa fase la società avrebbe la liquidità per saldare i creditori, sia pure divisi in due classi diverse: i creditori privilegiati, cioè le banche (perché vantano dei diritti su un capannone ipotecato) e gli stessi dipendenti, e i creditori chirografari - in generale, i fornitori - che non hanno alcuna garanzia. Nel concordato preventivo i creditori privilegiati vanno pagati per intero e non hanno diritto di voto, quindi non possono pronunciarsi proprio in merito a questo tipo di accordo, mentre i chirografari - per i quali, in questo caso, la Elco ha proposto di pagare il 30% di quanto dovuto - hanno diritto di voto e possono opporsi al concordato perché ritengono che l'azienda possa avere altri beni o perché non si accontentano di quella percentuale. Dunque hanno il potere di bloccare tutto e di far dichiarare il fallimento della società. Che insomma, interpretando un po' a naso, sembra che i privilegiati siano proprio i chirografari che così hanno potere di vita e di morte sui lavoratori, mentre il presunto privilegio di questi ultimi si trasformerebbe in una beffa se il Tribunale accettasse la proposta della Elco: pagare il Tfr in cinque anni in rate semestrali, che a occhio e croce fa settanta euro al mese. Chiunque abbia una famiglia (persino se è un single che si limita a respirare) sa che con settanta euro non ci campi nemmeno una settimana, ma sembra che - contrariamente a quanto ritiene circa l'80% dei tribunali italiani secondo i quali, in base alla spiegazione dell'avvocato Di Mattea, una dilazione così lunga limiterebbe il privilegio - i giudici catanesi sarebbero disposti a favorire questa soluzione, con la motivazione che l'azienda su questa specie di rateizzazione pagherebbe anche gli interessi. "Ma ai lavoratori non importa degli interessi", sbotta Di Mattea, perché ovviamente anche loro dovrebbero aggiungere spese ai conti che non possono pagare.
Inoltre, sempre secondo l'avvocato, non è che ci sia da stare poi così tranquilli rispetto al calcolo della liquidazione: sembra infatti che i conteggi non corrispondano, che ci siano delle incongruenze con quanto risulta all'Inps, che in alcuni casi siano state messe in conto le ferie non godute e ci siano circa cinquemila euro di differenza fra i conti fatti dall'azienda e quello che risulta all'Inps. E forse potrebbe anche esserci qualcosa di poco chiaro, se è vero che per alcuni dipendenti non sono stati versati due anni di contributi. Certo è strano che nel febbraio 2011 la società risultasse a posto con l'Inps (ma il Durc, il documento che attesta la regolarità dei versamenti dei contributi, si basa sul silenzio-assenso e dunque, se l'Istituto non risponde, si dà per assodato che sia tutto in regola) mentre nell'ottobre successivo, appena otto mesi dopo, aveva accumulato nei confronti dell'Istituto di previdenza debiti per duecentomila euro. Osservazione che i legali dei lavoratori sottoporranno al commissario liquidatore.
Nel frattempo, però, l'udienza aperta un paio di giorni fa è stata richiusa dopo pochi minuti e rinviata di quasi due mesi. Due mesi durante i quali i lavoratori continueranno a non poter pagare le bollette, l'affitto, il mutuo; continueranno a temere il telefono che squilla; continueranno a fare i salti mortali per non far mancare l'indispensabile ai loro figli e continueranno a vivere nell'agonia. Ma questo non importa a nessuno e nessuno ne parla. 
articolo scritto da Patrizia Maltese http://patriziamaltese.blogspot.com/

Il settore tira, la Elco licenzia, le istituzioni tacciono










(le foto sono di Salvatore Torregrossa)
Da qualche giorno a Catania, al numero 140 di via Giacomo Leopardi ha aperto un negozio di elettrodomestici e simili. Si chiama Unicity. Grandi vetrine, grandi spazi e l'immancabile slogan: "Grande tecnologia, piccoli prezzi". Già perché, crisi o non crisi, il settore è di quelli che tirano e anzi rappresenta quasi il "topos" o persino l'archetipo del capitalismo globalizzato delle multinazionali: fanno nascere in te il bisogno indotto, convincendoti che per esistere tu abbia la necessità assoluta di possedere un televisore che occupi tutta una parete (rubando spazio alla libreria!), poi arrivano le finanziarie che ti prestano i soldi e tu, già che ci sei, compri anche il condizionatore di ultima generazione, cambi la lavatrice che ancora funzionava benissimo, ti porti a casa il frigorifero che ti fa i cubetti di ghiaccio personalizzati con l'iniziale di ciascun componente della famiglia, compri il cellulare per il bambino che sta per nascere....
Un paio di settimane fa a Roma, nella zona di Ponte Milvio, ha aperto un centro commerciale Trony ed è successo un casino: c'era tanta di quella gente che sono dovuti intervenire i carabinieri per garantire l'ordine pubblico.
Eppure a Catania, nella stessa strada di Unicity, un centinaio di numeri civici più in là, l'estate scorsa ha chiuso la Elco. Che ha chiuso anche a Misterbianco, a Tremestieri, a Siracusa, ad Avola e in altri centri: li ha chiusi tutti i suoi negozi, dall'oggi all'indomani, lasciando i suoi dipendenti - centinaia di lavoratori - e le loro famiglie nell'incertezza totale. "Elco, da cinquant'anni insieme a te": poi un calcio in culo a ciascun lavoratore e chi s'è visto s'è visto.
La vicenda - passata quasi sotto silenzio, fra indifferenza delle istituzioni e tentativi di "pacificazione" (non è forse questa la parola più di moda oggi in Italia per giustificare governi "tecnici" che continueranno a fare gli interessi dei padroni?) persino da parte di chi dovrebbe difendere il lavoro - risale al maggio dello scorso anno, quando l'azienda, di proprietà della famiglia Ferlito, adducendo improbabili difficoltà economiche, avviò una procedura di mobilità per cessazione dell'attività, nel frattempo trasformata in ricorso agli ammortizzatori sociali per alcuni e trasferimento ad altra società per altri. In realtà, raccontavano stamattina i lavoratori di Catania, in sit-in davanti alla sede di via Giacomo Leopardi, ci avevano già provato un paio di anni fa a licenziarne una quarantina: parlavano di debiti e di esuberi e i dipendenti avevano inutilmente proposto di ridurre le ore di lavoro per evitare i licenziamenti, che poi sono arrivati per tutti: una sessantina in cassa integrazione subito, poi tutti gli altri che prima sono stati ceduti dalla Elco alla Elco group (di cui è socia la famiglia Piccinno) e poi hanno dovuto fare i conti con la dichiarazione di fallimento di quest'ultima società e con la chiusura dei negozi: quelli di Catania sono poco meno di duecento e fra di loro ce n'erano alcuni che lavoravano lì da oltre vent'anni e c'erano venti coppie, marito e moglie tutti e due sulla strada. Molti cinquantenni. Vecchi per il mercato del lavoro. Ma questa cosa se l'è sentita dire pure una ragazza di 34 anni: sulle spalle un mutuo di ottocento euro perché basato su due stipendi - il suo e quello del marito - e due bambini piccoli. Quando cercava un altro lavoro, le hanno detto che non andava bene, perché volevano persone massimo venticinquenni: le sono venute le macchie sulla pelle e ha perso i capelli a ciocche, la cura è costata cinquecento euro per tre mesi, farmaci non mutuabili. Un altro negozio di elettrodomestici ha sbattuto la porta in faccia a un'ex dipendente perché donne non ne vuole: hanno figli e mestruazioni. Colpa gravissima, in questo Medio evo. E, a quanto riferiscono gli ex lavoratori, comunque gli altri negozianti non li vogliono perché sembra sia stata sparsa la voce che causa della crisi aziendale sia la loro incompetenza. Mentre erano lì, a fare una cosa che i sindacati gli avrebbero sconsigliato perché inutile (dev'essere uno degli effetti del cambiamento climatico pure questo: i sindacati che ritengono inutile lottare per il lavoro!), è passata a trovarli un'ex collega, una signora che è andata in pensione appena in tempo. Ci mancava poco che baciasse per terra per essere passata sotto un treno: sì, perché l'altra "porcata" che i lavoratori hanno dovuto subire è che non gli è stata neppure pagata la liquidazione e gli è stato proposto di ricevere il Tfr in rate semestrali nei prossimi cinque anni: che fa settanta euro al mese. E non è detto che ci sia nemmeno quello, perché il prossimo 29 novembre ci sarà in Tribunale l'udienza per il concordato preventivo, la procedura che serve ad evitare il fallimento: appuntamento di cui i lavoratori sono stati informati soltanto da pochissimi giorni e durante il quale temono fortemente che i creditori possano rivalersi anche su quanto spetterebbe agli ex dipendenti. Considerato che da luglio, da quando il negozio ha chiuso, non vedono un centesimo, veramente un affare! Perché non solo non hanno più lo stipendio, ma nemmeno un sussidio di disoccupazione dato che, a quanto sembra, non risulterebbero nemmeno licenziati: "Non rientriamo nemmeno nelle statistiche sulla disoccupazione", dice una di loro. Così, in realtà, un altro lavoro non possono nemmeno cercarlo. A meno che - sintetizza un'altra - non sia un lavoro in nero.
D'altra parte in una città come Catania, dove fioriscono ad ogni angolo bar e negozi in cui viene investito il denaro della mafia, dove i padroni ti fanno il mobbing e ti impediscono di iscriverti al sindacato, dove i patronati sono fabbriche di clientelismo, dove medici e notai chiedono di essere pagati in contanti per non fare la fattura, chi vuoi che si accorga di un'illegalità in più o in meno?
articolo scritto da Patrizia Maltese 

HTTP://PATRIZIAMALTESE.BLOGSPOT.COM/

CHIUSURA ELCO TRONY, PARLANO I LAVORATORI

Risale a poche settimane fa l’apertura a Roma di un nuovo punto vendita Trony. Mentre al sud la situazione è totalmente diversa. La scorsa estate nella città di Catania e provincia hanno chiuso tutti i punti vendita Elco Trony. Cos’è successo? Che fine hanno fatto tutti i dipendenti? E soprattutto perché se n’è parlato così poco? Per saperne di più abbiamo incontrato, proprio davanti la sede Elco Trony di via Giacomo Leopardi, alcuni “ex” dipendenti.

Partiamo dall’inizio: «Nel maggio del 2010 – ha raccontato Daniele Cannata, “ex” dipendente – la Elco apre una procedura di mobilità per cessazione dell’attività. I 187 dipendenti vengono informati che l’azienda versa in gravi condizioni economiche. Si apre un tavolo sindacale durante il quale la Elco afferma che si riserva di trovare dei partner per rilanciare l’azienda. Da procedura di mobilità questa storia magicamente diventa un ex art.4, un ricorso agli ammortizzatori sociali. La società era già formata. Già c’era una Elco Group con due nuovi partner. Improvvisamente, 66 lavoratori su 187 devono entrare in cassa integrazione. I 119 in carico sono trasferiti nella nuova società. È un trasferimento di ramo d’azienda, ma i lavoratori continuano ad operare negli stessi punti vendita, con le stesse magliette, con gli stessi direttori. Unico cambiamento l’intestazione nella busta paga». Cos’è successo in questi mesi?
«In 7 mesi non c’è nessun rilancio – ha proseguito Cannata – non arriva la merce, all’interno non c’è riorganizzazione, né iniziative promozionali. Anzi oserei dire che chi è rimasto in carico è stato anche insultato, tacciato di poca professionalità, perché la gente non entrava nei negozi. Ma chiaramente era palese che non ci fosse il mezzo per poter attirare il cliente, cioè o la merce o il volantino con la merce in promozione».
Cosa succede quest’estate?
«In una riunione – ha continuato – viene dichiarato che la Elco Group fallisce perché non ci sono i margini per continuare. La famiglia Piccinno (i due soci che hanno affiancato i Ferlito), proprietari del marchio DPS (39 negozi in Italia),  a Catania non hanno fatto altro che dare una mano ai signori Ferlito a mascherare un licenziamento collettivo da passaggio ramo d’azienda Il 31 luglio Elco Group chiude i battenti. Tutti a casa sospesi! Anche i 66 lavoratori che finiscono di percepire la cassa integrazione. Tutti i dipendenti sono sospesi a tempo indeterminato a zero euro. Noi percepiamo la busta paga a zero euro».
La situazione attuale è di 187 dipendenti a casa senza stipendio…
«Gli avvocati ci dicevano che andava tutto bene – ha affermato Corrado Dollo, “ex” dipendente – ma poi misteriosamente si tiravano indietro e ci restituivano i mandati. Noi non siamo tutelati da nessuno, non ci fidiamo più di nessun avvocato e i sindacati fanno quello che vogliono o quello che sono autorizzati a fare…».
«I sindacati – ha aggiunto Cannata – hanno fatto il volere della società, non gli interessi del lavoratore».
«Io non vedo i proprietari da quando ho lasciato il mio ufficio – ha confessato Dollo – Sono andato in ferie e non sono più rientrato. Alla fine delle ferie mi è arrivata una raccomandata dove si diceva che non era più necessario il mio servizio».
«Ci sono quasi 200 persone a casa – ha dichiarato Cannata – e su questa situazione si tace vergognosamente».
«Adesso hanno presentato la domanda di concordato preventivo», ha aggiunto.
«Hanno proposto – ha spiegato Dollo – il pagamento del nostro TFR in comodissime rate semestrali in 5 anni».
«Diluiti sono 70 euro al mese da quando saremo licenziati», ha detto Daniele Cannata.
Cosa avete chiesto all’azienda?
«L’azienda non ci ha voluto sentire – ha dichiarato Cannata – Abbiamo chiesto la mobilità volontaria, ma c’è stata negata. Nessuno di noi ha trovato lavoro in altre aziende. Gli altri marchi importanti sono stati informati di non assumere ex dipendenti Elco. Perché attribuiscono la colpa del fallimento ai dipendenti. Ci viene detto in faccia che hanno il dovere morale di non ingaggiare nessun dipendente Elco, perché hanno saputo che i guai dell’azienda sono nati per colpa dei dipendenti».
187 dipendenti, 187 persone, 187 famiglie. 187 persone che vogliono, giustamente, farsi sentire. E queste sono le voci:
«Noi facciamo appello alle Istituzioni, innanzitutto al presidente Lombardo. Ci sono 187 famiglie che da oltre 4 mesi non percepiscono alcuna spettanza».
«Chiediamo principalmente il lavoro».
«A 50 anni non ci vuole più nessuno. Siamo sposati, abbiamo figli, questo è il problema più grande».
articolo scritto da Sonia La Farina su 

http://www.lazonafranca.info/